mercoledì 30 dicembre 2015

lunedì 28 dicembre 2015

MENO 7. Operazione Perseo: la guerra esoterica dei tedeschi

Heinrich Luitpold Himmler era secondo solo a Hitler durante la dittatura nazista. Era il capo delle famigerate SS, ma anche il signore oscuro che muoveva le fila di una associazione segreta, impegnata nella ricerca delle più famose e leggendarie reliquie di tutte le religioni. Cultore di una nuova religione che esaltasse la discendenza ariana, inutile dire che il suo principale obiettivo era il ritrovamento del sacro Graal. Himmler era fermamente convinto che si trattasse di un'arma prodigiosa, che avrebbe potuto cambiare il corso della Guerra e della Storia.
Nel 1940 Himmler era a Barcellona, all'hotel Ritz, ma non per questioni politiche. Il capo delle SS era alla ricerca di qualcosa nel vicino monastero di Santa Maria de Montserrat. Che cosa cercava? E che cosa ha trovato?
Un capitolo del romanzo Operazione Perseo è dedicato a questo misterioso episodio, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia, e oggi il mondo sarebbe potuto essere diverso da quello nel quale viviamo.

Operazione Perseo (ed. LibroMania)
In e-book, Il 5 gennaio 2016 sui principali store on-line.

MENO 8. Il 5 gennaio esce il romanzo Operazione Perseo. Ecco da dove nasce

Mancano otto giorni all'uscita ufficiale del mio nuovo romanzo: Operazione Perseo, edito da Libromania in formato e-book. Dal 5 gennaio, infatti, sarà possibile acquistarlo sui maggiori store on-line e, probabilmente, ci sarà anche la possibilità di ordinare una copia cartacea che vi sarà spedita direttamente a casa. Un romanzo di avventura, un thriller ad alta tensione.
Vi svelo da dove nasce il romanzo e come è venuto fuori il titolo. Vagando su internet mi sono imbattuto nella storia della torpediniera italiana "Perseo" della Regia Marina. I marinai italiani nel corso della seconda guerra mondiale erano molto temuti e rispettati per la loro bravura e, soprattutto, per il coraggio. La Regia Marina ottenne numerosi successi grazie alla loro perizia, non certo perché i mezzi fossero migliori di quelli Alleati. Gli inglesi che operavano nel Mediterraneo possedevano una forza d'impatto notevole e avevano in dotazione il Radar, strumento sconosciuto alle forze dell'Asse.
è dall'ultimo viaggio della Perseo che ho preso spunto per la trama.
Ora qualche dato tecnico sulla nave:
Tipo: torpediniera
Classe: Spica tipo Perseo
Costruttori: Cantieri del Quarnaro, Fiume
Varata: 9 ottobre 1935
Entrata in servizio: 1º febbraio 1936
Destino finale: affondata in combattimento il 4 maggio 1943
Propulsione: 2 caldaie; 2 gruppi turboriduttori a vapore, potenza 19.000 HP - 2 eliche
Velocità: 34 nodi
Autonomia: 1910 miglia nautiche a 15 nodi
Equipaggio: 6 ufficiali, 110 tra sottufficiali e marinai
Armamento
- 3 pezzi da 100/47 OTO Mod. 1931
- 8 mitragliere da 13,2 mm Breda Mod. 31 (4 impianti binati)
- 4 tubi lanciasiluri da 450 mm
- 2 lanciabombe di profondità
- attrezzature per il trasporto e la posa di 20 mine

lunedì 21 dicembre 2015

Il prete che fermò i comunisti (da La Città del 20/12/15)

di Rocco Papa

A metà degli anni cinquanta, Salerno provava a rialzarsi dalle ceneri della Guerra. La lotta politica era serrata, uno scontro ideologico totale che metteva di fronte, sostanzialmente, comunisti e cattolici. Anche nella vita di tutti giorni il confronto scandiva le attività, in particolare quella educativa: i giovani erano i futuri cittadini e votanti da accaparrarsi. Ora, diciamocela tutta, era soprattutto la sinistra, con lungimiranza e tecnica, a puntare su questo aspetto. Gli svaghi per i ragazzi, all'epoca, erano nulli e molti, anzi moltissimi, aderivano all'Azione Cattolica non solo per convinzione, ma anche perché offriva diverse opportunità di divertimento e socializzazione. Salerno non faceva eccezione, fino al giorno in cui, più o meno dalle parti di Largo Plebiscito (alle spalle del Duomo) aprì una sede de "I Pionieri", l'equivalente comunista delle associazioni cattoliche per ragazzi. Offrivano, si direbbe oggi, gli stessi servizi: cinema, gite, partite di pallone e, ovviamente, un sano indottrinamento. L'adesione iniziale fu buona, perché c'era anche un vantaggio non da poco, per aderire alle attività non si era obbligati a partecipare alla Messa domenicale. I Pionieri di Salerno, però, non avevano fatto i conti con un giovane prete, don Enzo Quaglia, parroco di San Domenico, una chiesa a pochi metri dalla loro sede.
Quando fu chiaro che questa nuova associazione sottraeva iscritti alla sua Azione Cattolica e, in più, c'era il concreto pericolo che giovani menti venissero traviate dall'ideologia marxista, il prete decise di agire. Irriso dai "compagni" quando si presentò da loro cercando di capire, passò all'azione. Il vescovo dell'epoca, opportunamente sollecitato dal giovane sacerdote, gli diede carta bianca. In poche settimane furono organizzati diversi tornei di calcio, affittati pullman per le gite, recuperati biglietti gratuiti per il cinema e comprati biliardini e tavoli di ping pong. Fu un'estate caldissima per i ragazzi del quartiere e anche per I Pionieri, che dopo l'iniziale successo, si ritrovarono a dover chiudere bottega per mancanza di iscritti.
Altri tempi, altri preti e anche altri comunisti. Tempi in cui si combatteva, ci si confrontava su idee e ideali. Un'epoca in cui i giovani e i ragazzi erano considerati i futuri cittadini da crescere e non solo consumatori di merci. Era meglio o peggio non sta a me dirlo, ma era diverso.
Il giovane prete che fermò i comunisti, almeno in quell'episodio, si chiamava don Enzo Quaglia, classe 1922. Qualche settimana fa nella parrocchia di San Domenico si è commemorata la sua dipartita avvenuta il 30 di ottobre del 1999, dopo 62 anni durante i quali è stato parroco sempre e solo di San Domenico. Famoso per aver fondato, negli anni subito dopo la Guerra, l'Opera Ragazzi Nostri, che accoglieva in città centinaia di orfani e ragazzi di famiglie disagiate. Forse la prima vera grande iniziativa di volontariato puro a Salerno, esistita solo grazie all'abnegazione di un prete che credeva e amava i ragazzi e i giovani. È stato anche l'inventore della "Festa della Famiglia", che da più di sessant'anni si tiene ancora a San Domenico. Un prete, un parroco come quelli di una volta, che girava per il quartiere sgranando il suo Rosario, interrotto di continuo dai saluti dei parrocchiani, dalle richieste di aiuto, alle quali non si sottraeva mai. Il prete che ha cresciuto intere generazioni (non solo quelle dello scontro ideologico tra comunisti e cattolici), salvando molti di noi (perché c'ero anche io tra quelli) dalle insidie della strada. Un prete che ha collezionato successi e fallimenti, come è normale che sia per ognuno che opera, per ogni essere umano, ma che non ha mai perso di vista la meta, il suo ruolo e il perché di una vocazione nata quando era ancora adolescente.
Perché parlare di un prete oggi? Oggi che se si parla di Chiesa e di preti è solo per mettere in bella vista le mancanze, il marciume che ha invaso parte della Chiesa. Scandali sessuali, scandali finanziari, tutto vero e tutto dato in pasto al pubblico, come forse è giusto che sia, come il diritto di cronaca impone. Ma se ci si allontana dalle luci e dai riflessi degli scandali, si può ancora scoprire una Chiesa e dei preti "combattenti", che ogni giorno lottano contro la povertà, contro il Nulla che circonda noi e i nostri figli. Non solo i preti, ma tanti uomini animati da sentimenti sinceri e che provano a fare qualcosa per il prossimo, anche loro avrebbero bisogno, ogni tanto, delle luci della ribalta, quanto meno per poter dire che una speranza ancora c'è.

lunedì 14 dicembre 2015

Il dibattito aperto sulla città e le diverse insidie sui social (da La Città del 12/12/15)


di Rocco Papa

È una divisione attiva, piena di fermento come non se ne vedeva da anni in città. È già un po' di tempo che scorrendo le pagine dei social network si ha l'impressione che Salerno sia una città spaccata. Una divisione sostanziale, oltre che formale, tra chi è convinto che tutto va bene e chi, invece, crede che, per usare un vecchio detto ciclistico, sia tutto da rifare. Una divisione su fatti e cose, che stringi stringi si risolve sempre in un pro o contro qualcuno e, quel qualcuno, è l'ex sindaco De Luca. Ex solo formalmente, ma di fatto ancora reggente tramite terzi della sua Salerno.
Sorgono gruppi pro e contro, ma mai apertamente schierati o inneggianti al nome del sindaco, si abbelliscono con nominativi che includono il nome e l'amore per la città, in un senso o nell'altro. Scorrendo i messaggi di questi gruppi, la cosa che più colpisce è comunque l'amore per Salerno, declinato in maniera diversa, ma sempre di amore si tratta. La questione diviene complessa quando ci sono interventi incrociati, cioè e i pro e i contro si scontrano su argomenti concreti, non ultima la questione delle luminarie, con la coda di polemiche sul traffico e sull'utilità dell'iniziativa. In questi duelli alla tastiera, ci sono degli elementi che si ripetono, alcuni anche abbastanza inquietanti. L'accusa che viene spesso rivolta a chi non è d'accordo con l'attuale linea politica, è quella di volere un ritorno al passato, alle famose chiancarelle o alle prostitute al teatro Verdi e a via Roma. Accusa ovviamente infondata, almeno a giudicare dalle risposte. Ciò che invece è contestato a chi osanna e inneggia l'attuale politica amministrativa, è quella di essere poco obiettivi e non tenere conto dei tanti fallimenti, dei problemi e, soprattutto, della mancata visione di un futuro per la città. Anche in questo caso, speriamo, non c'è molto di vero, o forse sì, ma lo scopo di questo articolo non è stabilire chi ha torto e chi ragione. Vuole essere solo una presa visione di una rinnovata lotta politica, tra virgolette, che anima la città come negli anni sessanta e settanta. All'epoca ce le si dava di santa ragione per strada o ai comizi, oggi ci si schiaffeggia a colpi di tastiera e selfie. C'è anche un'altra differenza che risulta subito evidente: dall'attuale lotta politica sono scomparsi gli attori principali, i politici. Nessuno, o quasi, entra nel vivo delle polemiche dando voce al suo partito o alla propria linea di pensiero. In particolar modo nessuno di coloro che sono attualmente maggioranza a Palazzo di Città. Nessuno si impegna a spiegare il perché e il per come di certe scelte che scontentano almeno una parte, anche consistente, della popolazione. A cercare di dare spiegazioni sono gli amministratori dei vari gruppi e i partecipanti alle discussioni.
Di fatti, se tra le altre cose si deve imputare qualcosa a questa Amministrazione, è certamente quella di tenere poco in conto le opinioni dei cittadini, le rimostranze o i suggerimenti. Forti della percentuale bulgara raccolta alle elezioni, si va dritti per la propria strada, proprio come una volta. D'altra parte, è diffusa usanza tra chi contesta De Luca e i suoi, di non voler ammettere nemmeno sotto tortura le cose buone che pure sono state fatte in città, anche di recente, e a me basta citare il famigerato solarium di Santa Teresa che, a mio parere, è una delle cose migliori realizzate negli ultimi anni.
Questo moto spontaneo di tanti cittadini, che attivamente e anche ironicamente partecipano alla discussione sul presente e sul futuro della città, non può che fare bene, ma un rischio sotterraneo, viscido, potrebbe nascondersi tra le maglie della rete. Un rischio sottovalutato da chi, in buonafede, si mette al servizio dell'una o dell'altra parte, quello della strumentalizzazione. Ma non solo, a volte si ha la netta sensazione che qualche gruppo non sia proprio nato dalla spontanea volontà di alcuni cittadini, ma sia frutto di una studiata linea di marketing politico, una infiltrazione mirata a orientare la discussione, a ingigantire o sminuire problemi che pure ci sono e le iniziative che pure si fanno. Una nuova forma di affiliazione politica attraverso un lavaggio del cervello mediatico. Diffidare di chi parla solo bene o di chi critica soltanto, dovrebbe essere questa una regola da seguire per chi intende partecipare al dibattito aperto in rete sulla sorte di Salerno.

lunedì 23 novembre 2015

Quando c'erano le case chiuse e... Nannina pummarola. (Da La Città del 22/11/15)

di Rocco Papa


Salerno città timorata e ipocrita, come tutta l'Italia di quegli anni '50 post guerra, quando il boom economico cominciava far intravedere altri modi di vivere, altre spensieratezze e prendeva a farsi largo l'idea di potersi permettere anche qualcosa di superfluo, oltre al necessario per la sopravvivenza. Di superfluo, a Salerno come nel resto del Paese, c'era di sicuro la voglia di effusioni amorose che sfuggissero alla rigida logica del giaciglio coniugale. I bordelli non erano certo una novità di quegli anni, i casini esistevano già prima, da sempre, a partire dai “lupanari” degli antichi romani. La ricerca di un piacere sessuale mercenario, proibito e diverso, che la morale e l'educazione delle mogli dell'epoca non poteva soddisfare.
Effettuavo una ricerca per scrivere un romanzo ambientato a Salerno alla vigilia della chiusura delle “case chiuse”, la famosa legge Merlin del 1958, e come prima cosa mi son rivolto a qualche anziano nella speranza che potesse darmi delle delucidazioni sui luoghi del piacere in città. A dire il vero, le risposte che ho ottenuto sono state evasive, ma la faccia degli interlocutori la diceva molto lunga, del tipo: so molto bene, ma non voglio dire...
Visto che il progetto di scrivere quel libro è poi naufragato, mi sono rimaste alcune informazioni sulle quali mi è piaciuto ricamarci qualche pensiero. I “casini” ufficiali a Salerno erano in sostanza due, ubicati nel centro storico, a Piantanova una e l'altra nei pressi della Dogana Regia e la chiesa di San Pietro a Corte. Erano soprannominati la Centouno e la Cinquecentouno. Il nome derivava dal prezzo (in Lire) della marchetta, che i clienti pagavano per una “semplice”, che era definita in base al tempo a disposizione e non ad altro. La differenza di prezzo era già di per sé una distinzione di classe, come è facile intuire la prima era frequentata dai meno abbienti: soldati, operai, studenti. Probabilmente il luogo dove molti dei giovani salernitani di quegli anni hanno perso l'innocenza e, forse, anche un po' di sicurezza nelle proprie capacità. La seconda, quella più costosa, più pulita e di certo più discreta, era ad appannaggio di borghesi, commercianti, graduati e professionisti. Nessuno, o quasi, era immune al richiamo della carne, la scelta dipendeva dalla disponibilità economica e non era, a torto o ragione, uno scandalo. Ovviamente anche le donne che esercitavano il mestiere nelle case avevano caratteristiche che variavano a seconda del livello. Più giovani e belle quelle della cinquecentouno, un po' più attempate ed esperte quelle dell'altra.
L'altra via per soddisfare i propri istinti o bisogni, era quella delle “libere professioniste”, tollerate all'epoca come un male necessario. Molte di quelle che non volevano o non avevano trovato impiego nei casini, esercitavano in casa. Durante gli anni della guerra e dell'occupazione, quando la fame era davvero fame, sono stati in tanti a spingere addirittura le proprie figlie sulla strada. Da mangiare non c'era nulla, lavoro ancora meno e chi aveva una figlia femmina e la coscienza chiusa in fondo allo stomaco, la sfruttava per sfamare tutta la famiglia. È stato quello un periodo doloroso della storia della nostra città, ma non solo, di tutta Italia. La vicenda raccontata nel film di De Sica “La ciociara” (tratto dal romanzo di Moravia), spesso avveniva per scelta. Ragazze, a volte bambine, spinte tra le braccia dei “liberatori”, inglesi e americani, per soldi. Non immaginiamo, non vogliamo nemmeno immaginare quanto dolore abbiano provocato quelle scelte.
Ma parlavamo delle libere professioniste, e sempre nel corso della mia ricerca è venuto fuori un nome, curioso e decisamente poco esotico: Nannina pummarola. Doveva essere una ragazzotta con una qualche caratteristica fisica che richiamava il famoso ortaggio, magari il colore dei capelli. Nannina esercitava nel vicolo dei Barbuti e la finestra della camera da letto affacciava proprio sulla strada. I clienti di Nannina si dividevano in fissi, gli affezionati che avevano trovato tra le braccia della “rossa” l'appagamento necessario delle loro voglie, e quelli occasionali. A fare da controllore delle prestazioni c'era suo padre, che si occupava di mantenere l'ordine nel vicolo e di tenera a bada i clienti. Capitava qualche volta che la donna provasse per qualcuno un particolare trasporto, o simpatia e allora indugiasse trattenendosi più del dovuto. In quel caso, suo padre, passeggiando sotto la finestra intonava un ritornello, il segnale che era ora di sbrigarsi perché c'era chi aspettava di entrare. L'inizio della canzone era: “come è longa a canna mia...”, tanto per sottolineare che la situazione stava andando per le lunghe.
L'unica certezza era che in quegli anni, nella maggior parte dei casi, era facile capire che cosa facessero le persone per vivere. C'era chi faceva il mestiere e lo si sapeva, oggi c'è chi lo fa e...

venerdì 13 novembre 2015

Quei sogni spezzati di una gioventù sempre più vecchia. La mia recensione de "Il Bivio", di Angelo Bruscino (Mondadori)


di Rocco Papa



Il Bivio, il libro di Angelo Bruscino, giovane imprenditore irpino impegnato nella cosiddetta "green economy", ci restituisce non un fotografia, ma una radiografia della società italiana rispetto al mondo giovanile, alle sue aspirazioni e ai suoi problemi. Il testo non è un trattato filosofico o una mera analisi della situazione, ma uno spunto di riflessione e un punto di partenza per chi vuole capire dove sta andando il nostro Paese. Ma chi vuole capirlo? È questa la domanda che mi sono posto leggendo il libro. Chi vuole e chi dovrebbe sapere queste cose? Purtroppo chi potrebbe cambiare lo stato delle cose, secondo Bruscino, è proprio il colpevole dell'attuale situazione. In breve, riassumendo la precisa e pragmatica analisi sulla situazione dei giovani studenti italiani che dovrebbero affacciarsi al mondo del lavoro, è una catastrofe. Il problema, che trova ovviamente nel Meridione d'Italia punte di drammaticità apocalittiche, è non solo dovuto alla crisi economica che da anni piega le ginocchia e le speranze delle famiglie, ma soprattutto di mentalità, di concezione della vita. L'Italia è un Paese di vecchi e per vecchi, i giovani, principalmente al Sud, hanno acquisito le suggestioni e il modo di pensare degli anziani, dei genitori, dei conoscenti. I bisogni primari, la sopravvivenza, tipici dell'età adulta, hanno annebbiato anche la visione dei giovani. In sostanza, i ragazzi italiani non sognano più. I sogni, le aspirazioni, sono troncate e smorzate da fattori che influenzano l'intera vita ella nazione. Tra i principali colpevoli individuati da Bruscino, volendo stilare una classifica, troviamo al primo posto, e non poteva essere altrimenti, la politica e i politici. Una politica vecchia e fatta da vecchi, che mai potrà capire e andare incontro alle esigenze delle nuove generazioni. Una politica che non ascolta ed è poco attenta alle istanze represse delle nuove generazioni. Una politica, declinata in burocrazia, che frappone ostacoli spesso insormontabili laddove un sogno, una visione comincia a palesarsi. Le idee muoiono tra le carte di permessi, autorizzazioni, marchette e mance. Ma l'indice è puntato anche contro i pochissimi investimenti che lo Stato dispone per la ricerca e la scuola, punti nevralgici per lo sviluppo di un Paese.
Al secondo posto ci sono le banche, il mondo della finanza, poco disposte a finanziare le idee. L'idea è un rischio, e le banche, si sa, rischi non ne assumono. Prestano solo a chi già ha, e intanto il Paese arretra ripiegandosi su se stesso.
In classifica ci sono anche i mass media, rei, secondo l'autore, di diffondere solo brutte notizie che deprimono e scoraggiano i giovani.
Non poteva mancare la scuola e l'università, e l'assoluta inadeguatezza degli insegnamenti impartiti rispetto al mondo reale. Una scuola ancora troppo nozionistica e che prepara poco al lavoro. In un mondo ultra competitivo, dove la carenza di lavoro è drammatica, la preparazione può rappresentare davvero l'unica ancora di salvezza, ma anche in questo il nostro Paese pecca.
Mentre andando avanti nell'analisi, si scopre che per la maggior parte dei ragazzi meridionali la carriera militare rappresenta ancora un obiettivo concreto, con la certezza di uno stipendio fisso, seguita dalla carriera sportiva e da quella artistica, si arriva al famoso Bivio dal quale è tratto il titolo del libro. In realtà i bivi sono tanti, a partire dalla scelta sul proseguimento degli studi, fino ad arrivare a quella dell'emigrazione. Già, proprio l'emigrazione, quella che è chiamata "la fuga dei cervelli". Le migliori energie del nostro Paese lasciano l'Italia e vanno ad arricchire i nostri competitor europei, ma non solo. Perché? La risposta è ovvia: l'Italia è un Paese di e per vecchi. Nelle altre nazioni, Germania in testa, si punta e si investe nelle idee, nei giovani, e le opportunità di lavoro, ai vari livelli, sono molte di più. Il libro si conclude con viatico di speranza per quei giovani preparati e intraprendenti che intendono investire il loro futuro in Italia, diventando imprenditori. Gli esempi riportati sono di alto profilo, ma alla base di tutto c'è sempre un'idea e, soprattutto, la preparazione e la volontà di realizzarla. A chi consiglierei questo libro? Innanzitutto ai nostri politici e a chi dirige il nostro Paese, ma sarebbe tempo sprecato, perché è un dato di fatto che loro non leggono.

mercoledì 11 novembre 2015

I prigionieri della metro metafora della città ostile (da La Città del 6/11/2015)


di Rocco Papa

Salerno, ore 7,10, i cancelli della stazione Duomo-Via Vernieri e quelli dell'adiacente sottopasso ferroviario sono ancora chiusi. Decine di pendolari, appena scesi dai treni che da Napoli, Nocera, Cava arrivano in città, sono prigionieri, senza via di fuga. Si sono svegliati all'alba per arrivare in tempo a lavoro, e invece... Fermi, impotenti, in attesa che chi di dovere, in questo caso i vigili urbani, si ricordino di questa incombenza. Non è la prima volta, mi ha detto uno di quei viaggiatori seriali, è già capitato. Sarà stato certamente un disguido, un malinteso, mi sono detto tornando a casa. L'episodio è stato lo spunto per riflettere sul concetto di città, di comunità, che non riguarda solo Salerno, ovviamente, ma un po' tutte. La città, che con le sue mura ha da sempre rappresentato un baluardo, un rifugio sicuro per i suoi cittadini, oggi è diventata un nemico, un mostro da affrontare. Da quelle mura si vorrebbe scappare, invece di chiudersi dentro come si farebbe in casa propria. Quando si esce di casa per una passeggiata, per andare a lavoro, ci si prepara come se si andasse in guerra. La città è diventata una rocca inespugnabile, ma non per gli aggressori, lo è per i suoi stessi cittadini. Opprime e deprime le anime stesse che da sempre è deputata a difendere, accogliere. Dovrebbe essere più simile a una coperta, che avvolge, riscalda e protegge i suoi abitanti, ma non lo è! La città, come un'entità a se stante, cresce e si arrovella sulle sue stesse fondamenta, dimenticando ciò che contiene. Cresce nelle sue strutture, troppo spesso per specchiarsi, per un fine che non è il benessere di chi poi dovrà usufruirne. Lo scopo di determinate azioni non è più finalizzato alla felicità dell'uomo, ma sottomesso ad altre logiche. Ho sempre più la sensazione che le nostre città siano diventate un po' come quelle ragazze o quei ragazzi civettuoli, per i quali conta solo apparire, dimenticando l'essere, dimenticando di essere qualcosa, qualcuno che non nasce in quell'istante, ma che è il frutto di un processo durato secoli. Immagino la città, e certamente non sono il primo, come un organismo vivente e noi, piccoli, a volte insignificanti, siamo la linfa che la rende vitale. In un corpo umano il sangue è vitale, il sangue trasporta ossigeno, serve l'organismo, ma è anche vero il contrario, l'organismo serve e protegge il sangue. Anche il sangue si può ammalare, spesso questa malattia si chiama leucemia, ed è mortale. Noi siamo il frutto, il sangue ammalato di queste città inaridite che si ripiegano sempre più su loro stesse, ignorando la malattia, ignorando che senza quella linfa vitale che sono i cittadini, le città non esisterebbero. Non esisterebbero sindaci, assessori e impiegati comunali. Ci vuole, ci vorrebbe una cura. Tanto per scavare nel baule delle banalità, che poi saranno anche banalità, ma spesso dicono la verità, mi verrebbe da pensare che basterebbe poco per migliorare la situazione. Basterebbe, per dire, che chi è deputato a tenere in ordine la città facesse il suo dovere. Ieri mattina, ad esempio, sarebbe bastato che il vigile incaricato di aprire i cancelli della stazione avesse fatto il suo dovere, e decine di pendolari avrebbero cominciato la giornata con un sorriso e non con una imprecazione. Quel sorriso si sarebbe trasmesso sul lavoro e su tutto il resto. Basterebbe questo, per iniziare. Sarà pure una banalità, ma le banalità spesso dicono al verità. Se dico che è meglio una bella giornata di sole, che una con la pioggia, sono banale, ma è vero. Se dico che chi pensa a grandi opere, stravolgimenti, eventi e sconvolgimenti, dovrebbe prima pensare a qual è il bene, il bisogno primario dei cittadini, e così sarebbe una persona più apprezzata, dico un'altra banalità, ma chissà perché è tanto difficile da realizzare. La città non è un'utopia, non è, per dirla alla Calvino, invisibile, ma è tangibile e viva, almeno quanto lo siamo noi che l'abitiamo. Le nostre scelte quotidiane condizionano lo stato di salute della nostra città; l'amore, l'accoglienza, lo sforzo che ci mettiamo nel rendere noi stessi migliori, si riversa sulla nostra città. La città europea, ma direi semplicemente la città, non è quella più bella, più pulita, più asettica, ma quella che rende felici i suoi cittadini, quella che accoglie e li sa amare. Qua c'è ancora tanta strada da fare.

venerdì 6 novembre 2015

La paura di specchiarsi nel diverso. (dal quotidiano la Città)


di Rocco Papa


Nessuna contrapposizione, ma un momento di momentanea disumanità. È questo quello che mi piace pensare di quanto accaduto in questi giorni. Vigili urbani, addirittura una task force anti-bivacco, in campo per sgombrare quei campi improvvisati di senzatetto, o barboni, o clochard, chiamateli come volete. Senza demagogia e buonismi, la maggior parte di noi quando vede questi raggruppamenti di disperati, va giù di lamento: ma il Comune che fa? Che schifo che è diventata questa città e via dicendo. Ora, senza stare a fare differenze tra le varie tipologie di bivacchi e bivaccanti (parola orribile), è chiaro che quello che è accaduto ha scosso più di una coscienza. Togliere le coperte ai senza tetto per farli andare via, mi pare un po' come se a Lampedusa decidessero di non dare acqua ai migranti per farli sviaggiare. Qualche domanda mi nasce, però, a vedere la situazione. Quando si tratta di stranieri, immigrati, si potrà ben gridare tornate al vostro paese, oppure, nel caso la spontanea partenza non avvenga, riportateli al loro paese. Ma se questi non sono clandestini, ma solo barboni, clochard, senzatetto, magari italiani? A questi dove li mandiamo? A quale paese vogliamo farli tornare? Non ho una risposta, forse non ce l'hanno nemmeno le istituzioni e chi predica la tolleranza zero.
Questi signori, che di notte dormono per strada, alla stazione, dove capita, e magari muoiono su una sedia senza che nessuno se ne accorga, sono sì clandestini, ma non di un paese o di una nazione, sono clandestini della vita. Viaggiatori non paganti di una esistenza che forse nemmeno volevano. Si sente spesso dire che il Mondo li ha dimenticati, e per certi versi sarebbe meglio, visto che quando se ne ricorda gli porta via le coperte o qualcos'altro, qualche volta sono stati usati anche come combustibile per alimentare un bel falò. Il Mondo li ha dimenticati, ma non ne sarei così sicuro, potrebbe essere che siano stati loro a dimenticare il mondo. Potrebbe essere che mentre tutti ci riempiamo la bocca con il nostro essere umani, gli unici umani sono loro. Sono rimasti loro ad ancorare questo mondo all'umanità, all'essenziale. C'è chi vorrebbe salvarli, ma non sono così certo che loro vogliano essere salvati, riportati alla realtà, a questa realtà, per la quale se non hai, non sei. Loro non hanno, ma sono eccome. Sono carne, sono ossa, occhi che guardano, che vedono, orecchie che ascoltano. Sono uomini, che un tempo sono stati bambini, proprio come me che scrivo e voi che leggete. Sono stati bambini tra le braccia di madri che per loro speravano chissà che cosa; sono stati bambini che forse avevano paura del buio; che giocavano in un cortile nelle sere d'estate assieme ad altri bambini, che quei marciapiedi non li hanno mai visti. Io lo vedo, quello con la bottiglia avvolta nel giornale, il cappotto strappato, io lo vedo mentre con i calzoni corti tira calci a un pallone; poi è con suo padre, gli tiene la mano e si sente al sicuro, come quando è tra le braccia della sua mamma. Adesso che cosa è che tiene al sicuro, al caldo quelle anime perse, quegli uomini persi?
Sono loro, sono uomini e donne, sono come noi, hanno avuto i nostri stessi pensieri, desideri, valori. Le loro strade camminavano parallele alle nostre, quasi uguali, per lo meno simili, e poi...
E poi, un giorno, tutto cambia. Per alcuni un poco alla volta. Si è partiti con una trascuratezza, si è arrivati alla strada. Per altri magari è accaduto tutto in un giorno, in un'ora. Una vita stravolta da un evento, da un pensiero, da un'ossessione. E allora la strada, le stazioni, quei binari che promettono viaggi, paesi e avventure. Per loro l'avventura è essere vivi il giorno dopo, forse mangiare qualcosa. Il viaggio ce l'hanno solo nella testa, a bordo di un treno che non parte e non è mai partito, ma che ogni notte li fa comunque viaggiare. Un andare e un tornare da quella vita che scorre fuori dal loro guscio, fatto di cartone e coperte donate, ma adesso nemmeno quelle.
Sono queste persone che cacciamo dalle nostre città, che bivaccano, o campeggiano (me lo dà come sinonimo, chissà perché). Sono loro, siamo noi in carne, ossa, sangue e sogni. E ci infastidiscono, ma non è per il decoro o la paura che ci facciano qualcosa, noi abbiamo paura di guardarli, di guardarci. Abbiamo paura di riconoscere che siamo fortunati, che noi la strada non l'abbiamo smarrita. Ma se lo facessimo, se finalmente ammettessimo che, in fondo, non possiamo lamentarci, non avremmo più diritto a piangere, accusare, rimpiangere. E allora niente, la colpa è dei senza tetti, la colpa di tutto. Mia moglie mi lascia, il lavoro è uno schifo, il vicino rompe le balle, ma la colpa è dei senza tetto, sono loro che infastidiscono. Le città hanno le strade rotte o i tombini occlusi e alle prime piogge si allaga tutto; i disoccupati aumentano, i giovani delinquono o, al meglio, la sera si ubriacano; le scuole sono dei cessi; le Poste chiudono...
No, i problemi non sono questi, i problemi sono i senza tetto, e allora che cosa faccio? Ti metto in campo una task force e tolgo loro le coperte.
La dignità di una città e dei suoi abitanti, non si misura sul decoro, ma sull'umanità.

Dal quotidiano La Città. La riscoperta filosofica dell'acqua


di Rocco Papa

Quando veniamo al mondo il nostro corpo è composto per il 75% di acqua, tale percentuale cala fino al 60 nell'età adulta. Potremmo affermare che siamo nati per vivere in acqua, annotazione che un po' richiama il titolo di una canzone di Baglioni, Acqua nell'acqua, scritta in occasione dei Mondiali di Nuoto a Roma del 1994. Questo, però, non vuole essere un articolo sull'importanza di un bene così primario ed essenziale per la nostra esistenza, ma più mestamente il resoconto di una scoperta che ha cambiato il mio modo di vedere e vivere lo sport.
In una famiglia di pallonari, avere un figlio che si intestardisce per il nuoto, all'inizio è stato un po' uno sbandamento. A dire il vero è stata mia moglie a spingerlo e spronarlo verso il nuoto. “Fa bene” è la solita frase che si usa, ma io, a vederlo fare avanti e indietro: stile, rana, dorso, farfalla, non ci trovavo proprio niente di divertente. E, per un bambino, lo sport deve essere anche divertimento. Un bel giorno, quella gloriosa società di nuoto che è la Rari Nantes Salerno, più giovane solo dell'amata Salernitana in quanto a età, ci fece sapere che nostro figlio era stato selezionato per la Pallanuoto. Sempre nuoto era, ma almeno c'era una palla da spingere in una porta, e già mi parve un compromesso accettabile. Lo scetticismo durò. Lo vedevo allenarsi assieme a un'altra decina di “pulcini”, vasca su vasca, solo gambe, solo braccia. Cominciai a chiedermi come facesse, io solo a guardarlo avevo il fiatone. Poi ci fu la prima partita e tutto cambiò.
Non sono mai stato uno di quei padri per i quali il figlio è sempre il migliore e sono gli altri a sbagliare, anzi, sono sempre stato più che critico, ma vederlo in acqua, lui insieme ai compagni, giocare, nuotare, è stata una sensazione unica, indescrivibile. Schizzi d'acqua in faccia, mani a trattenerti, spingere, scalciare, lottare, vincere un minuto e perdere quello dopo e alla fine sempre il sorriso sulle labbra, a bordo vasca, a stringere la mano agli avversari.
La pallanuoto è fatica, è sudore, anche se non si vede, perché proprio com'è per i nostri corpi, è solo acqua e sale che si scioglie in altra acqua. La Pallanuoto è sacrificio e passione. Non ci sono prospettive, che a volte sono molto più dei genitori che dei ragazzi, di stadi pieni, stipendi da favola. L'unica prospettiva è lo sport, il divertimento e la salute. Perché alla fine è vero, lo sport fa bene, il noto anche di più.
E lo spettacolo è anche quello che non si vede, quello che accade sotto il pelo dell'acqua delle piscine piastrellate di un blu artificiale: la lotta contro gli avversari, la lotta contro un ambiente che, in fondo, non è quello naturale per l'uomo, anche se siamo fatti di acqua. È ciò che passa nella testa di ogni ragazzino quando ha il pallone tra le mani e non basta calciarlo via, perché deve sforzarsi di restare a galla, guardare i compagni, difendersi fisicamente dall'avversario, respirare e non lasciarsi sfuggire la palla viscida, insidiosa. È uno sport per tutti, ma non tutti possono praticarlo. Ci vuole voglia, passione, sacrificio e valori. Aiuta a crescere, a contare sui compagni, a difendersi, che oggi non è poco, e a non esaltarsi nella vittoria, e a non deprimersi nella sconfitta, perché in fondo è un gioco, e lo sarà anche se arrivi in serie B, in serie A. Non ci saranno mai gli ottantamila a inneggiare il tuo nome, ma ci sarai sempre tu e l'acqua, una sfida continua, una sfida nella sfida, perché è quella la prima da vincere, poi ci sono gli avversari.
E ci vuole passione per nuotare, forza, vigore, concentrazione, e lo stesso vale anche per chi tiene in piedi la baracca. La nostra città, purtroppo, non è fatta per chi vuole fare sport. Strutture fatiscenti o inadeguate, gestite così e così. Lo sa chi fa calcio, lo sa chi fa basket o pallavolo, lo sa ancora di più chi fa nuoto o pallanuoto. Anche perché gestire una piscina è un filino più complicato che tenere un paio di campetti o una palestra. Le istituzioni, ma non è una novità, hanno altro a cui pensare e allora ci si arrangia con ciò che si ha, facendo di necessità virtù e di virtù passione. Solo una smisurata passione può spingere qualcuno a mettere su una struttura, una squadra di nuoto o pallanuoto. Battersi contro difficoltà oggettive e non mollare tutto.
Un aspetto da non sottovalutare, è che difficilmente i ragazzini che sono in acqua si accorgono o sentono le grida sguaiate dei genitori. Non ci sono reti attaccate al campetto sulle quali aggrapparsi e inveire contro arbitro e avversari, non ci sono padri convinti di tenere in casa i nuovi Messi e Ronaldo. C'è passione, comunque, animazione, tifo, qualche parola grossa vola lo stesso, ma là, nell'acqua, quei ragazzi sono solo una squadra, estranei a tutto, immersi in una logica che da fuori, all'asciutto, non si può capire.

Eppure, lo so che non c'entra niente, Salerno è una città di mare e che del mare ha vissuto e vive. I nostri figli sono nati con il sale sulla pelle e con l'odore dell'acqua che sarebbe dovuto essere come quello di casa. Non è così, lo so, non c'entra nulla con le strutture, le piscine, quelle sono cose di uomini, di politici, di buon senso. Non c'entra nulla, ma non si può vivere solo di pallone.

giovedì 24 settembre 2015

Una recensione da brivido per il mio racconto "Secondo natura" (Corte Nera)

Una recensione che mi inorgoglisce enormemente, scritta da Antonietta Mirra per il blog "L'amica dei libri", e mi conforta nel credere che Corte Nera è davvero un bel libro, che ci ha dato grandi soddisfazioni e che avrebbe meritato ancora di più... Per quanti avranno voglia di scoprire questa "Gemma", basta andare in libreria....


La recensione completa la trovate qua


Questo è il brano che riguarda il mio racconto:

In Secondo Natura di Rocco Papa, l’atmosfera cambia in modo brusco e sentito. Siamo nel 1943 e il protagonista non è più un rappresentante della giustizia che tenta di far luce su strani casi di omicidio ma un ex carcerato che tenta di indagare sulla morte di Matteo, un amico che gli muore tra le braccia invocando un unico nome: Gemma. Uno stile preciso, quasi chirurgico da vero giallo, uno sfondo che ripete la storia, donandoci una pressante ed indimenticabile fotografia degli anni dell’Avalanche, e la fuga dei nazisti in concomitanza con lo sbarco degli alleati. La triste e velata Salerno, centro propulsore di queste storie macchiate di oscurità e rosso sangue, si presenta, questa volta, in una versione decadente, avvinghiata alle macerie di quel tempo disastrato e perduto nel quale l’aria pullulava di omicidi irrisolti e di amori sbagliati, prostitute cangianti e bambini oltraggiati.  Mi è piaciuto molto nella sua realtà e fascino sporco, nella capacità di dare ancora un tocco in più a una serie di racconti dove sembrava che fosse stato detto già tutto.

“La natura asseconda se stessa e decide per tutti. Una folata di vento improvviso, un passaggio di mani inconsapevoli: la tela è spezzata. La preda è libera. Il ragno è vittima. Secondo natura.”

Tra l’altro ho adorato questa frase che oltre a rappresentare il senso totalizzante del pezzo, evoca, a mio parere, molto altro ancora, un’infinita sfilza di significati applicabili a più aspetti della vita e della realtà.

Antonietta Mirra

martedì 4 agosto 2015

Un mio racconto sul quotidiano La Città

Dal 5 agosto il quotidiano La Città di Salerno pubblicherà ogni giorno una serie di racconti gialli, scritti da autori salernitani e ambientati a Salerno. Il primo (giorno 5 agosto) è un mio racconto, ancora un'indagine del commissario Ferri, affiancato dall'ispettore Caruso, che questa volta si troveranno a dover svelare un vero e proprio mistero: la statua di una Santa che perde sangue. Miracolo o delitto?
La storia si svolge tra la chiesa di Sant'Anna al Porto, via dei Mercanti e il mercato rionale...

Da non perdere le belle illustrazioni del racconto che i disegnatori del quotidiano propongono.

giovedì 30 luglio 2015

Francesco che salvò i pesciolini del chiostro

C'è un posto, in città, dove il tempo scorre piano, scandito dai tocchi discreti di una campana. Per nove o dieci mesi all'anno è immerso nel silenzio e vi si aggirano figure silenziose e meditative di monaci in lunghi sai marroni. Il chiostro della Chiesa dell'Immacolata si affaccia sulla città, ma è come se ne fosse fuori, sospeso in uno spazio e un tempo parallelo. Quando sboccia luglio, e le scuole sono chiuse, tutto si trasforma. Il silenzio è rotto dalle voci chiassose di alcuni ragazzini, che attentano alla meditativa pazienza dei monaci con i loro giochi. Sono per lo più le nonne a portarli in quel luogo perché... ci sono tanti perché e sarebbe lungo elencarli tutti, ma basta sapere che è un ritrovo essenziale, fondamentale nel cuore della città.
E' una giornata di fine luglio, calda, che anche le pietre sudano, le piante agognano qualche cane per ricevere un po' di ristoro, l'acqua della vasca posta al centro del chiostro ribolle.
Nel chiostro, sei o sette ragazzini si rincorrono gridando, le nonne chiacchierano, i frati pregano e fuori la città si muove lenta, trattenuta da un invisibile muro di calore e afa. La figura dinoccolata di un frate si affaccia nel chiostro e a passi lenti si avvia verso il centro del quadrato, delimitato dal portico del convento e da aiuole con alberi da frutto e palme.
La grande vasca, nella quale nuotano pesci rossi grossi come tonni e tartarughe marine, geneticamente modificate dai continui fuori pasto che i bambini gli regalano, compreso gomme da masticare, patatine e noccioline pralinate, deve essere pulita. Tutto si ferma, cala il silenzio, il gruppo di mocciosi si avvicina al frate con curiosità. Il monaco, incurante, riempie due secchi d'acqua nei quali metterà i pesci e le tartarughe durante la pulizia della fontana. Il livello dell'acqua della vasca comincia a calare, i pesci prendono a nuotare frenetici avvertendo l'imminente pericolo. Le tartarughe sono tranquille, loro possono stare anche fuori dall'acqua, e fissano i pesci rossi con occhi immobili e una strana malizia.
Poi accade qualcosa, il monaco è richiamato all'interno del convento e scappa via.
I bambini cautamente si avvicinano alla vasca. I loro occhi si spalancano quando vedono il livello dell'acqua che continua a scendere. I pesci sbattono impauriti con le pinne sulla pietra, tra poco non ce ne sarà più.
Una delle tartarughe, sentendosi al centro dell'attenzione, ben decide di muoversi. Con lenta determinazione si avvicina a uno dei pesci, che ormai si agita in un dito d'acqua, gira la testa prima a destra e poi a sinistra, come per accertarsi che tutti la guardino, spalanca la bocca e con un colpo secco stacca la testa del malcapitato pesce rosso.
Nell'aria il silenzio viene rotto da un "ohhhh" di orrore e i bambini simultaneamente fanno un passo indietro. Ma si sa, l'orrore viene presto soppiantato dalla curiosità, e tutti si riavvicinano a guardare.
Poi tutto avviene in fretta, voci, grida, bambini e nonne provano a richiamare l'attenzione dei monaci per evitare la strage di pesci, che ormai affogano senza acqua, con le tartarughe trasformatesi in un branco di squali, tutte pronte a seguire l'esempio della temeraria compagna.
Nella confusione generale, uno dei bambini, tal Francesco, si guarda intorno in cerca di una soluzione, che si materializza alla sua vista sotto forma di un lungo e sottile serpente giallo: la pompa con la quale i monaci innaffiando le aiuole. Ne prende una cima e con fatica prova a trascinarla verso la vasca. Gli amichetti, che la mente dei bambini è sempre più svelta di quella dei grandi, corrono ad aiutarlo. Un altro si occupa di aprire il rubinetto. La pompa cala lenta nella vasca e l'acqua prende ad arrivare e a bagnare i pesci, che riprendo fiato e si agitano con più vigore. Con una lentezza mortale il livello sale di qualche centimetro, ma lo scarico è ancora aperto e il liquido scorre via con la stessa velocità con la quale arriva.
Il monaco di prima, richiamato dal trambusto, arriva a passo svelto a chiudere lo scarico, così i pesci riacquistano un po' d'acqua per muoversi, e soprattutto per allontanarsi dalle tartarughe, che per anni avevano considerato anonime vicine di casa, innocue coinquiline di quello spazio liquido. Forse il rapporto tra tartarughe e pesci rossi, nella vasca del chiostro, non sarà più lo stesso.
Questa è la breve storia di Francesco, che con una pompa e l'aiuto degli altri bambini dell chiostro, ha salvato i pesci della vasca, in un caldo giorno di luglio, giorno di pulizie della fontana.

mercoledì 29 luglio 2015

San Matteo tirato per l'aureola

San Matteo tirato per l'aureola... stagnante, stucchevole polemica infinita. Fermarsi, inchinarsi, entrare, non entrare, giravolta, capovolta, corse e balletti, sembra di assistere a una rappresentazione circense. Una guerra di potere sulle e alle spalle del Santo. Il vescovo ha le sue ragioni, l'unico, e vuole riportare l'evento nei binari della fede, là dove la fede c'entra poco, sostituita dalla "tradizione", termine con il quale ci si riempie troppo spesso la bocca, poco consapevoli che ci sono tradizioni aberranti nel Mondo, che per fortuna sono state abolite. ma la fede dovrebbe unire, invece in questo caso divide, tra quelli a favore di Moretti e quegli altri, quelli a favore di... già, a favore di chi o che cosa?

martedì 28 luglio 2015

...dalla parte sbagliata si muore. Uomini che si uccidono

Sarà stato per via di un debito, o per un amore finito male o mai cominciato. Sarà stato per un dolore che covava dentro da tempo, oppure un istante che ha cambiato tutto. Chi può sapere davvero qual è la ragione per la quale si decide di non vivere più. Nella mia città, a Salerno, ma un po' in tutta Italia, ogni giorno si legge, si commenta, si assiste a un suicidio. Nel lungo elenco delle ics nel ciclo della vita, si aggiungono questi esseri umani, che un giorno hanno creduto, gli hanno fatto credere, di non essere abbastanza per continuare a vivere. È una scintilla che abbiamo dentro di noi. Una linea che demarca, divide, oltre la quale c'è il nulla. Si indaga su quale sia l'innesco che trasforma un uomo in un criminale, o che spinge qualcuno a far perdere per sempre le proprie tracce, o che porta al suicidio. Un salto nel vuoto, il gas, un proiettile, quanti modi ci sono per dire basta. Chiudere i conti con un passato ingombrante, un presente deludente, un futuro senza speranza. Si muore, si decide di morire dalla parte sbagliata, dalla parte della disperazione, della delusione, chiusi in se stessi, mentre il mondo, gli amici, i parenti, non si sono accorti di niente. E può accadere di non riconoscere un malessere, un segnale, perché siamo distratti dalla vita che non si ferma mai. Siamo spinti dal passato, verso un domani che tutti si impegnano a volerci far vedere sfavillante di promesse. Guardiamo indietro, avanti, dimenticando il presente e chi ci sta intorno. Non c'è ragione sufficiente o dolore, debito, amore che può farci comprendere. Resta il silenzio di chi non se lo aspettava, le lacrime di chi rimane e si sente tradito, perché non ha capito. Resta il nulla di una selezione poco naturale, che non si riesce a spiegare.

venerdì 24 luglio 2015

Da Salerno in libreria. Da leggere in estate e non solo


Era da un po' che me lo ripromettevo, fare un breve articolo sugli scrittori salernitani, su alcuni almeno. Lo farò dando piccoli consigli di lettura per chi cerca un libro da portare al mare, ma non solo ovviamente. Non mi soffermerò su colui che forse è il più noto scrittore salernitano, Diego De Silva, perché non ha certo bisogno che sia io a presentare i suoi lavori. Preferisco restare sulla terra, tra coloro che si danno da fare, con passione, creatività e puntiglio, per emergere nel mondo ingarbugliato dell'editoria nostrana, dove, come capita ovunque nel nostro bel paese, non va avanti solo chi merita, ma soprattutto chi conosce.



Comincerò con il libro, del quale sono coautore, che di recente ha ricevuto il primo premio del prestigioso concorso Raccontami La Storia, l'antologia Corte Nera (Runa editrice). Non è propriamente un libro storico, ma i quattro racconti ambientati a Salerno in epoche diverse e legati da un filo comune, hanno colpito la giuria, al punto da meritare il primo premio.

Uno degli altri tre autori è Paolo D'Amato, forse uno dei più raffinati giallisti salernitani, dove il "giallo" è inteso nel senso veramente classico del genere. Di D'Amato voglio segnalare l'ultimo lavoro edito Settimo (Cicorivolta), ambientato a Salerno, nel quale si narra delle vicende del commissario Gregorio Settimo, appunto, un nome che è già un programma.

Altra autrice di Corte Nera è Tina Cacciaglia. Originaria di Napoli, vive a Salerno da molti anni, ma la sua anima resta legata al capoluogo campano e di lei vi segnalo Il sussurro di Vico Pensiero (Runa), un bellissimo noir in una Napoli magica e maledetta, e La signora della Marra (Runa), scritto a quattro mani con Marcella Cardassi, un meraviglioso romanzo storico.

L'ultima autrice dell'antologia salernitana è Piera Carlomagno, giornalista de Il Mattino, anche lei legatissima a Napoli, dove in parte è ambientato L'anello debole (Centoautori), il noir che ha riscosso un grandissimo successo e vincitore di numerosi riconoscimenti, tra i quali il prestigioso premio Sanremo Writers, consegnato in occasione del Festival della Canzone. Piera Carlomagno è anche una delle autrici della raccolta Crimini sotto il sole (Novecento editore), che comprende anche un racconto dell'attrice e regista salernitana Brunella Caputo, che si è cimentata nella scrittura noir con uno stile gradevole e incisivo.


Siamo in attesa della seconda opera di Claudio Grattacaso, dopo il grande successo ottenuto con La linea di fondo (Nutrimenti), storia di un campione mancato di calcio e delle sue vicissitudini
familiari, personali e sociali. Per il momento è possibile apprezzare gli scritti dello scrittore, e amico, sulle colonne del Mattino, dove spesso ci allieta con articoli irriverenti, ironici e pungenti. Ma adesso vogliamo il secondo libro: Claudio, datte' da fa'.

Non conosco personalmente Carmine Mari, autore de Il regolo imperfetto (Atmosphere libri), un romanzo storico ambientato nella Salerno medievale, all'epoca della Scuola Medica. Mi riprometto di leggere il libro del quale mi hanno parlato un gran bene e che ha riscosso un notevole successo in libreria.

Da Nocera con furore, l'amica Letizia Vicidomini, della quale consigliamo l'ultimo lavoro Nero - diario di una ballerina (Homo Scrivens). Di lei il grande Maurizio De Giovanni scrive: una scrittrice pura.

Due cari amici, un po' di mesi fa, hanno pubblicato il loro primo libro scritto a quattro mani, Le risposte che non ho avuto (Il Quaderno edizioni) e sono Erminia Cioffi e Paolo Di Mauro.

Un elenco non esaustivo del mondo della scrittura salernitana, con qualche consiglio per la lettura, ma voglio ricordare gli altri amici scrittori Matteo De Chiara, Rita Francese, Ilenia Negri che oggi si cimenta con una scrittura originale e difficile, quella delle favole per ragazzi...

Una sviolinata al mondo della scrittura Made in Salerno, o quasi, che mi andava di fare visto ciò che il panorama editoriale ci offre. Tra sfumature e grigi vari, un po' di buona scrittura, e di conseguenza una buona lettura, ci deve essere. Ho letto gran parte di ciò che vi ho proposto, si tratta di validissime alternative e ciò che ci viene propinato come letteratura. Un poco di campanilismo non guasta, visto che da noi si è sempre pronti a riconoscere il talento che viene da fuori, ma non ci si soffermai mai abbastanza sulle potenzialità che ci sono in casa. I Media, se non sollecitati da amici e parenti (tranne qualche eccezione lodevole, tra le quali devo menzionare la giornalista Barbara Cangiano de La Città), tendono a ignorare la cultura non di "sistema", quella che non è proposta dall'alto, ma che agisce in silenzio, con fatica, e tanta dignità. 
Vi auguro una buona estate ricca di libri, magari questi.
Rocco Papa

lunedì 20 luglio 2015

Eredità. Una nuova indagine per il commissario Ferri

In piena estate, vi propongo un altro racconto una nuova indagine del commissario Ferri, che questa volta indaga sul suicidio di ragazza. C'è qualcosa che non lo convince, qualcosa che lo spinge a cercare le ragioni di un gesto annunciato. Il volto sereno della ragazza gli si stampa nella mente come la foto di una persona cara, e lui indaga.

SCARICALO GRATIS

martedì 30 giugno 2015

Corte Nera vince il Premio Raccontami La Storia

Nella splendida cornice di Rocca San Giovanni in Abruzzo, uno dei cento Borghi più belli d’Italia, domenica 28 giugno si è tenuto l’atto finale del Premio Nazionale “Raccontami La Storia”, premio di narrativa storica edita ed inedita.

Per la categoria dei romanzi editi ha vinto il romanzo “Corte Nera” (Runa Editrice), dei salernitani Tina Cacciaglia, Piera Carlomagno, Paolo D’Amato e Rocco Papa, che ha prevalso su “All’Ombra dell’Impero” (Baldini & Castoldi) di Alberto Custerlina, autore vincitore del Selezione Bancarella 2014, e su “300 Nascita di un Impero” (Newton & Compton) di Andrea Frediani, autore tradotto in cinque lingue che con il suo ultimo libro ha venduto un milione di copie.

A premiare i vincitori il sindaco di Rocca San Giovanni, Giovanni Enzo Di Rito.

(foto di Cristina Santonicola)










venerdì 8 maggio 2015

Un'indagine del commissario Ferri - scarica il racconto


Cari amici, lo so che amate i libri di carta, quelli che profumano, che hanno una consistenza e già il fatto di averli tra le mani danno emozione. La tecnologia, però, va avanti e voglio proporvi una storia che ho scritto un po' di tempo fa. Il commissario Ferri è un personaggio che ho pensato nei ritagli di tempo e sono venuti fuori alcuni racconti che mi farebbe piacere condividere con voi. Il formato è quello digitale, l'e-book, e ce n'è per tutti i gusti, sotto trovate i link per scaricarlo gratuitamente...
Il titolo è Grand Hotel. Il commissario Lorenzo Ferri indaga sull'omicidio di una donna, strangolata nei bagni, appunto, del Grand Hotel...

Fatemi sapere se vi è piaciuto


SCARICA IL RACCONTO GRATUITAMENTE NEL FORMATO CHE PREFERISCI

domenica 1 febbraio 2015

Corte Nera, recensione di Isabella Pascucci su "Leggere tutti" gen-feb 2015

Recensione

Corte Nera
di Isabella Pascucci

C’è odore stridulo di pioggia o profumo acre e dolciastro di sangue, insieme ai miasmi maleodoranti di un ghetto cittadino, popolato di prostitute imbellettate, o di un giaciglio di paglia, sul quale si mescolano sudore e lacrime: è il mondo chiuso a chiave di quella Corte Nera (Runa Editrice) che dà il titolo all’avvincente raccolta di racconti firmati da Tina Cacciaglia, Paolo D’Amato, Rocco Papa e Piera Carlomagno, in un viaggio tra storia e storie, ancorate al fondale condiviso di una Salerno regina, insieme mendicante e principessa, e trainate - tra secoli e contesti lontanissimi - dal faro unificante di un nome: Gemma. Gemma assassina e vittima, Gemma donna e simbolo di tante epoche differenti e di tante speranze perdute o deluse, Gemma araba fenice e reincarnazione di un ideale di donna che nasce, muore e rinasce di nuovo. Come esordisce Diana Lama nella prefazione al volume: «Questa bella antologia si dipana come un nastro intessuto di emozioni, delitti, imprevedibili barlumi di umanità e osceni dirupi di perversione, attraverso i secoli». Nonostante una certa ingenuità linguistica nei primi due racconti, ripagata da uno stile più incisivo e metamorfico negli ultimi due, le storie noir di questa raccolta restituiscono un filo rosso di emozioni che cresce con l’appropinquarsi al presente. A delinearsi, passo passo, è la corte di principi e dignitari, in un medievale VIII secolo, tra prigioni in cui la tortura è unica regola e misteriose abbazie longobarde, dove le preghiere si mescolano ai profumi di pozioni arcane e di veleni letali; o la Salerno “Trista provincia ribelle” in epoca post unitaria, tra briganti e rigurgiti risorgimentali, inni garibaldini e donne incinte squartate e metà. Un balzo temporale, e ad echeggiare sul golfo partenopeo sono i rombi dei cannoni dell’ultima guerra mondiale, all’indomani di un armistizio fantoccio, con una città fantasma, abbandonata e in mano agli Inglesi, e una morte violenta tra le mura umide e fredde di un carcere. Fino all’oggi, di una Salerno targata anni ’90, ma che sembra rimasta quella di cento anni fa, con famiglie numerose e povere fino all’osso che vivono di espedienti, di sigarette di contrabbando e di giochi di bambini tra i vicoli, e in cui il silenzio, in un giorno come tanti, è rotto da un tonfo: quello di un corpo che precipita da un balcone. E non sembra per un suicidio. E Gemma è sempre lì, da indiziata di omicidio a vittima di un delitto, da moglie di quel morto del ‘43 a protagonista di un suicidio apparente. Strega e martire. Donna ed eroina solitaria attraverso i secoli. Al centro di verità spaventose, di gialli macchiati di rosso sangue. Di un’anima che trasmigra di corpo in corpo, muta testimone di crimini e misteri, di morti e lacrime. Ma anche del sorriso disarmante di una bambina dai grandi occhi blu. Una bambina che si chiama Gemma.
Tina Cacciaglia, Paolo D’Amato , Rocco Papa , Piera Carlomagno - Corte Nera  -Runa, 2014 pp. 238, euro 14,00

Corte Nera, recensione di Vittorio De Agrò per il blog "Il rumore dei libri"

recensione di Vittorio De Agrò per il blog "Il rumore dei libri"

Ci sono città, luoghi e ambienti naturali che hanno in sé le caratteristiche idonee a dar spunto agli scrittori e sceneggiatori per poter scrivere gialli o noir e dove poter sviluppare intriganti spy story e movimentate avventure.

Il lettore non può pensare ad alcune città americane come New York, Miami, Las Vegas o se volessimo rimanere in Europa ad esempio Londra regina delle spy story con James Bond.

Eppure è possibile creare l’atmosfera e le condizioni perfette per inchiodare il lettore alla lettura e stuzzicare la sua immaginazione facendo magari ricorso alla storia e alla vicende locali di una città,magari non necessariamente una metropoli

Il connubio tra storia e immaginazione ha grandi potenzialità narrative se usato con attenzione e misura.

Un buon esempio di riuscito connubio è sicuramente “Corte Nera” raccolta di racconti ambientati in epoca diverse nella bella, affascinante e misteriosa Salerno.

Molti conoscono e amano Napoli e le sue bellezze, ma anche Salerno ha una sua storia gloriosa e un passato da cui poter attingere materiale e suscitare curiosità e interesse del lettore

Così gli autori di questa raccolta: Cicciaglia, D’Amato,Papa, CarloMagno con abilità e talento hanno costruito quattro storie apparentemente diverse, ma in vero legate dalla figura della donna incarnata dal personaggio di Gemma dipinta in rapida successione nei racconti come vittima , carnefice , maga e voce narrante; quattro donne diverse eppure tutte dotate di fascino e mistero.

Una raccolta che parla di omicidi, manipolazioni, tradimenti e avidità scandite lungo i secoli dove i personaggi maschili risultano subalterni e soggiogati dalla bellezza e intelligenza di queste donne.

Salerno è raccontata e descritta con poche ed efficaci pennellate che permettono al lettore di immergersi nei diversi periodi e ambienti storici cogliendo l’anima e l’essenza di questa città e dei suoi abitanti.

L’elemento storico è caratterizzato soprattutto dalla particolare e curiosa arma del delitto con cui vengono commessi gli omicidi:la sagitella, strumento usato un tempo dalla medicina per eseguire i salassi.

La struttura narrativa è lineare, semplice e ben sviluppata permettendo di seguire i racconti con interesse e attenzione.

Gli stili degli autori sono puliti, curati, scorrevoli e soprattutto mostrano abilità e bravura nel manovrare l’elemento storico costruendo un buon pathos narrativo e un ritmo costante e avvolgente.

I personaggi sono costruiti in maniera coerente e chiara risultando credibili e convincendo anche nel loro lato introspettivo.

Il lettore dopo aver letto “Corte Nera”non potrà non avere la curiosità di visitare Salerno e soprattutto prenderà atto che in fondo per scrivere un buon giallo in fondo basta osservare con attenzione anche il proprio e piccolo mondo