di Rocco Papa
Nessuna contrapposizione, ma un momento di momentanea disumanità.
È questo quello che mi piace pensare di quanto accaduto in questi
giorni. Vigili urbani, addirittura una task force anti-bivacco, in
campo per sgombrare quei campi improvvisati di senzatetto, o barboni,
o clochard, chiamateli come volete. Senza demagogia e buonismi, la
maggior parte di noi quando vede questi raggruppamenti di disperati,
va giù di lamento: ma il Comune che fa? Che schifo che è diventata
questa città e via dicendo. Ora, senza stare a fare differenze tra
le varie tipologie di bivacchi e bivaccanti (parola orribile), è
chiaro che quello che è accaduto ha scosso più di una coscienza.
Togliere le coperte ai senza tetto per farli andare via, mi pare un
po' come se a Lampedusa decidessero di non dare acqua ai migranti per
farli sviaggiare. Qualche domanda mi nasce, però, a vedere la
situazione. Quando si tratta di stranieri, immigrati, si potrà ben
gridare tornate al vostro paese, oppure, nel caso la spontanea
partenza non avvenga, riportateli al loro paese. Ma se questi non
sono clandestini, ma solo barboni, clochard, senzatetto, magari
italiani? A questi dove li mandiamo? A quale paese vogliamo farli
tornare? Non ho una risposta, forse non ce l'hanno nemmeno le
istituzioni e chi predica la tolleranza zero.
Questi signori, che di notte dormono per strada, alla stazione,
dove capita, e magari muoiono su una sedia senza che nessuno se ne
accorga, sono sì clandestini, ma non di un paese o di una nazione,
sono clandestini della vita. Viaggiatori non paganti di una esistenza
che forse nemmeno volevano. Si sente spesso dire che il Mondo li ha
dimenticati, e per certi versi sarebbe meglio, visto che quando se ne
ricorda gli porta via le coperte o qualcos'altro, qualche volta sono
stati usati anche come combustibile per alimentare un bel falò. Il
Mondo li ha dimenticati, ma non ne sarei così sicuro, potrebbe
essere che siano stati loro a dimenticare il mondo. Potrebbe essere
che mentre tutti ci riempiamo la bocca con il nostro essere umani,
gli unici umani sono loro. Sono rimasti loro ad ancorare questo mondo
all'umanità, all'essenziale. C'è chi vorrebbe salvarli, ma non sono
così certo che loro vogliano essere salvati, riportati alla realtà,
a questa realtà, per la quale se non hai, non sei. Loro non hanno,
ma sono eccome. Sono carne, sono ossa, occhi che guardano, che
vedono, orecchie che ascoltano. Sono uomini, che un tempo sono stati
bambini, proprio come me che scrivo e voi che leggete. Sono stati
bambini tra le braccia di madri che per loro speravano chissà che
cosa; sono stati bambini che forse avevano paura del buio; che
giocavano in un cortile nelle sere d'estate assieme ad altri bambini,
che quei marciapiedi non li hanno mai visti. Io lo vedo, quello con
la bottiglia avvolta nel giornale, il cappotto strappato, io lo vedo
mentre con i calzoni corti tira calci a un pallone; poi è con suo
padre, gli tiene la mano e si sente al sicuro, come quando è tra le
braccia della sua mamma. Adesso che cosa è che tiene al sicuro, al
caldo quelle anime perse, quegli uomini persi?
Sono loro, sono uomini e donne, sono come noi, hanno avuto i
nostri stessi pensieri, desideri, valori. Le loro strade camminavano
parallele alle nostre, quasi uguali, per lo meno simili, e poi...
E poi, un giorno, tutto cambia. Per alcuni un poco alla volta. Si
è partiti con una trascuratezza, si è arrivati alla strada. Per
altri magari è accaduto tutto in un giorno, in un'ora. Una vita
stravolta da un evento, da un pensiero, da un'ossessione. E allora la
strada, le stazioni, quei binari che promettono viaggi, paesi e
avventure. Per loro l'avventura è essere vivi il giorno dopo, forse
mangiare qualcosa. Il viaggio ce l'hanno solo nella testa, a bordo di
un treno che non parte e non è mai partito, ma che ogni notte li fa
comunque viaggiare. Un andare e un tornare da quella vita che scorre
fuori dal loro guscio, fatto di cartone e coperte donate, ma adesso
nemmeno quelle.
Sono queste persone che cacciamo dalle nostre città, che
bivaccano, o campeggiano (me lo dà come sinonimo, chissà perché).
Sono loro, siamo noi in carne, ossa, sangue e sogni. E ci
infastidiscono, ma non è per il decoro o la paura che ci facciano
qualcosa, noi abbiamo paura di guardarli, di guardarci. Abbiamo paura
di riconoscere che siamo fortunati, che noi la strada non l'abbiamo
smarrita. Ma se lo facessimo, se finalmente ammettessimo che, in
fondo, non possiamo lamentarci, non avremmo più diritto a piangere,
accusare, rimpiangere. E allora niente, la colpa è dei senza tetti,
la colpa di tutto. Mia moglie mi lascia, il lavoro è uno schifo, il
vicino rompe le balle, ma la colpa è dei senza tetto, sono loro che
infastidiscono. Le città hanno le strade rotte o i tombini occlusi e
alle prime piogge si allaga tutto; i disoccupati aumentano, i giovani
delinquono o, al meglio, la sera si ubriacano; le scuole sono dei
cessi; le Poste chiudono...
No, i problemi non sono questi, i problemi sono i senza tetto, e
allora che cosa faccio? Ti metto in campo una task force e tolgo loro
le coperte.
La dignità di una città e dei suoi abitanti, non si misura sul
decoro, ma sull'umanità.
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