lunedì 1 febbraio 2016

In viaggio nella notte dei cattivi pensieri (da La Città del 31/01/2015)


In viaggio nella notte dei cattivi pensieri

di Rocco Papa

Adesso che anche lo spegnimento delle luminarie ha decretato ufficialmente la fine del periodo di bontà su commissione che chiamiamo Natale, si torna alla vita "normale". Ora possiamo tornare a ignorare quelli a cui abbiamo finto di interessarci per onorare la nascita di Cristo: basta parlare degli ultimi, degli affamati, degli ammalati, degli anziani soli, insomma, che ognuno torni a pensare a se stesso. In questo vuoto mi è venuto in mente un episodio che un amico mi ha raccontato tanto tempo fa. Mi raccontava che capitano notti insonni, nel corso delle quali si ha la sensazione che tutti i cattivi pensieri si siano accordati per non farti dormire. Capita che a stare in casa proprio non ce la fai e devi uscire, e dentro hai una maledetta voglia di lasciarti tutto alle spalle, sparire, partire. La meta della passeggiata notturna è la stazione. Lo scalo non è come lo vediamo adesso, non ci sono treni veloci e frecce, l'edificio è cadente e decadente.

Come sarebbe partire, sparire davvero? Il mio amico dice di averlo pensato spesso. Mentre lo sbuffo d'aria di un treno in arrivo gli scompiglia i capelli, si imbatte in una delle tante figure che di notte animano, o animavano, visto che sono stati cacciati via, gli scali ferroviari italiani e di tutto il mondo. La stazione è l'ultimo mondo possibile, l'ultimo riparo prima della notte. L'uomo è alto, robusto, indossa un vecchio cappotto grigio, ma forse in origine era di un altro colore, un cappello di lana calzato sulla testa, dal quale escono capelli ricci e grigi. La barba folta, scura con chiazze grigie, ne nasconde i lineamenti ma non gli occhi. Quelli sono chiari, incredibilmente chiari. Si trascina dietro due grosse buste di plastica: tutto il suo mondo.

E così, durante una notte piena di cattivi pensieri, si ritrova a conversare con un barbone. Come sia accaduto, di preciso, il mio amico non lo ha mai capito.
«Questo è il treno che non va da nessuna parte» dice il barbone indicando una carrozza ferma nella quale abitualmente dorme. «Un treno senza locomotiva, fermo su un binario morto. È il nostro treno, di quelli come me, che non vanno da nessuna parte».
Il mio amico lo guarda perplesso e comincia a chiedersi che ci fa in mezzo ai binari, al freddo, insieme a quell'uomo.
«Questo treno non si muove, ma la gente che ci sale è in viaggio» riprende il barbone. «Noi, ormai, possiamo viaggiare solo con la testa, e il nostro viaggio dura solo una notte, al mattino è già finito. Quando entriamo là dentro, il mondo fuori non esiste più e davanti a noi c'è solo il lungo viaggio della notte».
Il mio amico scopre che lo chiamano Il Professore e gli chiede il perché di quel nome.
«Forse perché lo ero; forse perché mi ritengono più intelligente di loro» spiega.
«Loro chi?» domanda il mio amico.
«Loro, quelli come me» risponde sorridendo. «Siamo quelli che hanno dimenticato il mondo. Noi siamo i sopravvissuti a tutta questa confusione, alla violenza, all'egoismo. Siamo gli Ultimi. Così ci chiamano, gli ultimi, ed è vero. Siamo gli ultimi umani rimasti sulla faccia della terra».
A questo punto il mio amico pensa che l'uomo forse è ubriaco. Il Professore sorride e sfoggia la sua dentatura marcia. A momenti l'odore di urina, di putrefatto, quando il vento cambia direzione, è insopportabile. Una zaffata che prende al naso e alla gola. Il mio amico finge di non sentirla per non metterlo in imbarazzo.
«Io sono come una specie di custode» riprende il Professore. «Difendo quelli come me, da quelli come te. Difendo il mondo, il mio mondo, da chi vuole salvarci a tutti i costi».
«Non capisco» risponde perplesso.
«E che cosa c'è da capire, amico mio? Mio giovane amico». Il vecchio indica il treno di fronte a loro. «Vedi - dice sorridendo - nessun viaggio, nessun luogo potrà restituirti la pace che cerchi. Che cosa porti nella valigia? Qualche vestito, il necessario a sopravvivere, ma quello che ti serve per vivere ce l'hai qua dentro - e indica il petto del mio amico con un dito -. L'anima, il cuore, quelle sono cose che non si mettono in una valigia. Sei tu la valigia del tuo cuore, della tua anima, del tuo essere. Ovunque andrai, ovunque questo viaggio che intendi fare ti porterà, quelle cose saranno sempre con te, come un peso, o un sollievo, dipende da te. Nessuna cosa è buona o cattiva, è l'uso che ne facciamo a renderla buona o cattiva. Anche la vita, caro ragazzo, non è né buona, né cattiva, è solo Vita, e dipende da noi come vogliamo viverla. Sta per partire. Che cosa hai deciso?»
Il mio amico si sveglia di soprassalto. È stato solo un sogno.

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